Random (#5)
Mar. 15th, 2019 11:23 pm![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
- Scritta per la quinta settimana del COW-T9;
- prompt: in fuga;
- 606 parole;
I piedi affondano nel fogliame, i rami graffiano la pelle, i cespugli tentano di trattenerlo e lo ostacolano nella fuga. Tutt’attorno è un mare di foglie, tronchi e muschio, di piante e rami caduti. La luce del sole penetra dalle fronde degli alberi e si fa più intensa in quei punti in cui la vegetazione si dirada.
Ispira a pieni polmoni, con l’aria che gli brucia la gola e gli gratta le narici, in tutta una serie di risucchi e ansiti animaleschi e che non ha mai sentito prima – che non credeva di poter essere lui a produrre.
Si scortica la pelle delle mani nel tentativo di darsi un maggiore slancio afferrando qualsiasi cosa gli capiti a tiro, avverte a malapena il dolore per le ferite o per le piante dei piedi che vengono infilzate da rametti e altri piccoli e acuminati oggetti che non riesce a individuare. Il sottobosco è fresco e umido sotto ai suoi piedi, in alcuni punti è persino viscido e in un altro momento – in un’altra vita – potrebbe anche trovare quell’alternanza di sensazioni piacevole e interessante. La fuga, però, non gli dà tempo di pensare, registra le informazioni con una rapidità che non credeva possibile, poi semplicemente tutto ciò che in quel momento non gli serve viene dimenticato.
Dietro di lui sente delle voci, dei passi, forse il latrato di qualche cane. Lo hanno scoperto, si dice con un’euforia incontrollata e fuoriposto, gli stanno dando la caccia, e affretta ancora di più il passo, ignorando il fiato che non ha più e il cuore che minaccia di esplodergli nel petto.
La consapevolezza di essere davvero riuscito a fuggire e di essere ancora in gradi di tenergli testa, dopotutto, di correre un pelo più rapido di loro, di rendergli la cattura sudata e difficoltosa, lo fa sentire euforico. È uscito dalla propria gabbia credendo di trovare la morte appena dopo qualche passo, ma il tragitto che ha percorso si è moltiplicato oltre ogni più rosea speranza e man mano che i suoi piedi si muovono, riscopre una parte di se stesso che credeva morta, dimenticata, annientata. Ogni nuovo passo un tassello del suo essere riprendere colore, vigore, forza. Ricorda il proprio nome, anche se non lo sente pronunciare da così tanto tempo che ne ha perso il conto e lui stesso dubita di riuscir ad articolare quel suono così complesso e disarmonioso che faceva storcere il naso ogni volta che si presentava a qualcuno di nuovo. Ricorda il nome della sua città e i pomeriggi pigri passati sotto al sole, steso sull’erba, o le mattinate trascorse al fiume a pescare. Ricorda cose che non sa se siano vere o solo frutto dell’eccitazione della sua mente, ma gli piace, quel passato che credeva non esistere più.
Salta un cespuglio e rotola per un paio di braccia prima di riuscire a rimettersi in piedi e a proseguire la fuga. Qualcosa si è conficcato poco lontano dalla sia testa, ne ha avvertito il sibilo mortale – una freccia? Un proiettile?
Sa di non poter sopravvivere, che non c’è una vera via di fuga, solo il piacere di far penare i suoi aguzzini il più possibile. Non è fuggito per essere libero, lo ha fatto per ricercare la pace della morte, ma allo stesso tempo ha riscoperto un piacere sconosciuto nella fuga, nella corsa, nel riuscire a sfuggire a quelle mani protese verso di lui ancora per qualche secondo. È vivo, anche solo per qualche attimo in più, anche se in un modo bestiale e animalesco. È vivo e morto allo stesso tempo, in quella fuga fatta di rami, tagli e ansiti.