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 Raccolta di fic HP!AU. Le storie sono tutte slegate tra di loro, su ATLA e TLoK.

Partecipa al COWT-12, M4

902 parole

 

 

 

 

 

I ricordi di sua madre sono sempre avvolti da un’aura di candore e tenerezza e a Katara salgono immediatamente le lacrime agli occhi quando pensa a Kya, al modo affettuoso in cui le intrecciava i capelli o sgridava lei e Sokke, se bisticciavano.

Kya era una donna bella e mite, con gli occhi azzurri e la carnagione olivastra e nei suoi sogni, Katara riesce ancora a sentire il profumo di erba piperita e lavanda della sua pelle e un po’ il mondo le sembra meno buio. 

La sua è una famiglia di Nati Babbani. I suoi genitori, entrambi con il sangue un po’ sporco, si sono conosciuti a Hogwarts e, che da quando ne ha memoria, non si sono mai più lasciati. Una volta Kya le ha raccontato di come Hakoda l’abbia conquistata, ma lei era una bambina di appena quattro anni e non è riuscita a imprimersi nella mente le parole della madre. Non ricorda, per quanto si impegni e, quel poco che le è rimasto impresso, non è neanche sicura che sia vero e di non esserselo immaginato nel tempo, costruendo ricordi nuovi e un po’ confortevoli.

Quando sua madre è morta, Hakoda non ne ha mai più fatto parola, né di quel ricordo, né di altri e Katara non ha mai avuto il coraggio di chiedere. 

 

Sokka ha sette anni e Katara sei quando i Mangiamorte bussano alla loro porta. Sono ancora troppo piccoli, troppo ingenui, troppo innocenti per percepire il pericolo, ma in fondo al loro stomaco, nascosta tra le viscere, hanno la sensazione che stia per accadere qualcosa di orribile. 

Loro madre è bella, con i capelli tirati dietro la testa, in una crocchia affrettata e un po’ scomposta e il viso tirato in un sorriso che non tradisce il terrore per quello che verrà.

- Facciamo un gioco – sussurra piano, mentre qualcuno bussa alla loro porta e le pareti della casa tremano e si sconquassano, vittime di un incantesimo.

Li porta nel retro del suo laboratorio, in una stanza che nessuno dei suoi figli neanche sapeva esistesse. La porta è incantata e la donna mormora qualche parola che né Sokka, né Katara riescono a capire e i cardini cedono e si aprono. 

- Dovete rimanere qui – continua, mentre a Sokka inizia a colare il naso e gli occhi si fanno sempre più rossi. È sempre stato un bambino piuttosto intelligente – Andrà tutto bene, papà sarà a casa presto – continua e carezza le loro teste, prima quella di Katara e poi quella di Sokka. 

Nessuno dei due si lamenta per i capelli arruffati.

Quando Kya esce dalla stanza e la porta scompare dietro di lei, i bambini rimangono soli nel buio. Non sembra ci siano luci o candele, ma nessuno dei due quasi ci fa caso.

- Non devi avere paura – le dice Sokka, la voce rotta dal pianto e il viso paonazzo. Ora è l’uomo di casa e Katara è la sua sorellina. Deve essere forte.

Si rannicchiano in fondo alla stanza e la bambina si stringe a lui, gli artiglia il braccio e in una occasione diversa, Sokka si lamenterebbe per il dolore. 

Nessuno dei due emete un solo suono per tutto il tempo, un tempo lontanissimo. Rimangono in ascolto, sentono la porta di casa alla fine cedere con uno schianto terribile e il rumore di voci ovattate e lontane, che nessuno di loro riesce a riconoscere. Poi uno schianto, un altro, un altro ancora. Le pareti della stanza tremano – o sono loro a tremare?

L’ultima esplosione è la più terribile e poi niente più. Il silenzio torna e forse è quella la cosa più spaventosa. 

Nessuno più parla, niente si muove, neanche respirano. 

Rimanogono rinchiusi, al buio, con la paura anche solo di muoversi per un tempo lunghissimo. L’oscurità rende tutto più labile, più impalpabile. Né Sokka, né Katara sono in grado di dire per quanto tempo rimangono nascosti, rannicchiati, zitti. Minuti, ore, giorni, settimane. 

Quando la porta, alla fine, si apre e la figura alta e ben piazzata di loro padre si staglia davanti a loro, non c’è sollievo, non c’è gioia. Hakota li cerca a tentoni nel buio, li trova e li stringe. 

Katara non aveva mai visto suo padre piangere prima d’ora e mai più lo vedrà sorridere. 

 

Kya non c’è più e i Mangiamorte sono scomparsi nel nulla. 

 

 

*

 

 

 

Il giorno del suo undicesimo compleanno, Katara riceva una lettera da Hogwarts. Sa già di cosa di tratti, l’anno prima è toccato a Sokka, ma ne è comunque tanto euforica che qualcuno potrebbe giurare di averla vista correre per casa e ballare sfrenata, come presa dal morso di qualche gerbillo danzerino. Sua nonna l’ha rincorsa e l’ha abbracciata, in uno slancio di affetto di cui entrambe non la ritenevano più in grado. 

Katara è una strega, una strega come lo è stata sua madre, magica, incantata. Può di diritto vivere nel Mondo Magico, può imparare a incantgare gli oggetti e a difendersi. 

È quasi confortante la consapevolezza di non essere una creatura indifesa, di non doverlo essere più, di non doversi nascondere in silenzio, nel buio, mentre qualcuno ti fa scivolare tra le dita tutto quello che è il tuo mondo, la tua gioia, il tuo essere. 

Katara è una strega e a undici anni già ha ben in mente quale deve essere il suo scopo. Lo sa da anni ed entrare a Hogwarts è solo la riconferma di quanto il percorso che ha scelto sia davvero il suo. 

La vendetta è di qualche passo più vicina.

 

 

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