Feb. 17th, 2021
Incontrarsi, amarsi, dirsi addio
Feb. 17th, 2021 09:19 pm- Naruto – KankuTen
- Parole: 1530
- M2 – Sonno profondo
Konoha sembra addormentata, solo un occhio ben allenato può cogliere il guizzo furtivo dei ninja sentinelle che pattugliano le strade nell’ombra, in una ronda pigra e poco emozionante.
Un ubbriaco striscia in un vicolo buio, reduce da una serata non troppo leggendaria, tirandosi dietro una bottiglia di liquore. La luce del lampione su riflette per un istante sul vetro ambrato e quello subito dopo entrambi sono spariti tra le ombre della notte.
Konoha non è il suo villaggio, non ne conosce a menadito le strade o le viuzze secondarie, talvolta fa addirittura fatica a indovinare la giusta quantità di chakra da indirizzare alla pianta dei piedi, per non rovinare al suolo, mentre salta da un tetto all’altro. Le case sono così diverse da quelle del suo villaggio, coi tetti spioventi e coperti di tegole rosse e massicce, pronte a staccarsi alla minima pressione nemica. Quando era ragazzino, ai tempi della selezione dei chunin, un paio di volte aveva staccato un laterizio da un tetto, in una versione ben poco decorosa di un ninja. Si era guadagnato un’occhiata di scherno – disprezzo – e il trucco era riuscito a nascondere a malapena il rossore delle guance.
Salta su un altro tetto, calcola le distanze in una frazione di secondo e poi si libra di nuovo in aria senza alcuna difficoltà, ripetendo tutta una serie di movimenti diventati ormai familiari e istintivi. Ripercorre senza esitazione un tragitto fatto altre volte, automaticamente, con le gambe che un po’ gli fanno male per il viaggio.
Individua la casa senza alcuna difficoltà – la prima volta, oh, la prima volta, aveva provato a entrare in quella della vicina e la donna non aveva particolarmente apprezzato.
La finestra del primo piano è socchiusa e la raggiunge con un guizzo da gatto. Entra di soppiatto, silenzioso come solo un ninja può essere. Anche al buio può individuare senza difficoltà la posizione di ogni mobile e la luce che filtra da fuori è sufficiente a intravedere il profilo di una pila di vestiti lasciati abbandonati su una sedia.
Si sta giusto complimentando con se stesso, quando sbatte col piede contro qualcosa di metallico, che tintinna appena e lo fa sobbalzare. Dall’altra parte della stanza arriva un mugugno assonnato e contrariato, di chi è ancora ingabbiato tra la veglia e il sonno e in una frazione di secondo ha considerato la sua presenza come trascurabile o innocua.
La porta è chiusa a chiave, ne è sicuro – ormai dorme sempre con la porta chiusa e la finestra lasciata semiaperta – ma controlla lo stesso, in un eccesso di zelo che quasi non gli appartiene. Dall’altra parte, in casa c’è un altro uomo che non vedrebbe proprio di buon occhio la sua presenza lì – e a lui piacerebbe tenersi attaccate tutte le sue parti.
L’occupante del letto mugugna un’altra volta, un basso sospiro che gli smuove qualcosa a metà tra lo stomaco e il petto. Sono mesi che non si vedono, che non si toccano, a malapena si sono sentiti tramite lettere, entrambi occupati con le missioni e l’allenamento.
Appartengono a villaggi diversi, lontani e le occasioni di vedersi in alcuni periodi si possono contare sulle dita di una sola mano.
È una sensazione piacevole, in ogni caso, quella che gli risveglia quel verso, avvisaglia di altre ancora migliori che ne seguiranno.
Azzera in un secondo la distanza tra lui e il letto e un groviglio di capelli e coperte lo accoglie. Ten Ten è bella, quando dorme, anche se lo fa in modo scomposto e disordinato, con le braccia che se ne vanno un po’ per i fatti loro e le gambe che cercano di coprire l’intera superficie del materasso. Quasi gli dispiace di svegliarla, mentre si china verso di lei. La prima volta che aveva provato a farla rinvenire così, di punti in bianco, lei gli aveva quasi aperto in due la gola con un kunai. Era stato davvero spaventoso e aveva una piccola cicatrice, sottilissima e nascosta dalla tenuta nera, che glielo ricordava. A posteriori, talvolta lei lo prende in giro, dicendogli che sembrava proprio un grosso gatto spaventato.
Un grosso gatto, quasi morto, spaventato. Puntualizzava lui nella sua testa.
- Pensi di rimanere lì a fissarmi ancora per molto? – lo schernisce, improvvisamente sveglia, con gli occhi scuri che lo osservano al buio – Oggi non ti taglio la testa, promesso –
*
Il letto di Ten Ten è di poco più grande del suo e dormirci insieme non è sempre facile, bisogna incastrarsi nel modo giusto, annodare le gambe e le braccia, avvilupparsi nelle coperte e schiacciarsi il più vicini possibile, per non rischiar di buttarsi giù l’un l’altra.
A nessuno dei due dispiace.
Ten Ten profuma di buono – profuma sempre di buono – con i cepelli sciolti e arruffati e gli occhi assonnati. Ha la pelle chiara e morbida e a Kankuro piace passarci le mani, carezzarla per ore, finché non diventa sensibile e arrossata e lei non inizia a contorcersi e a lamentarsi.
Conosce quel corpo, le pieghe dei seni, la curva dei fianchi, il neo rosso che le macchia il retro del collo. Lo conosce quasi come se fosse il proprio, come nessun corpo prima di allora. Ogni volta, però, trova un dettaglio nuovo, una cicatrice fresca, un muscolo più teso o un neo nuovo. C’è quasi qualcosa di maniacale nel modo in cui il suo cervello elabora e coserva quelle nuove nozioni – se lei lo sapesse, lo prederebbe in giro.
Ten Ten è bella, piacevole, col fisico minuto e allenato dagli esercizi estenuanti a cui il maestro Gai sottopone lei, se stesso e i suoi allievi.
Ten Ten hai capelli che gli si avviluppano tra le dita, quando le prede il viso tra le mani per faciarla, che gli solleticano il naso e che si mettono in mezzo nei momenti meno opportuni. A Kankuro piacciono quei capelli, gli piace perdercisi dentro, affondarci la faccia pria di dormire e svegliarsi con un ricciolo non suo che gli solletica la pelle.
Ten Ten è bella quando è sotto di lui, quando i vestiti cadono e le pelli si toccano; è bella quando socchiode le labbra, quando gli morde il collo e quando si inarca, soffocando un suono osceo.
Ten Ten è eccitante, in un modo innocente e inaspettato, con l’aspetto ancora un po’ acerbo dell’adolcescnza.
Il sesso è naturale, parte della loro routine. Sanno dove e come toccarsi e a Kankuro piace vederla fremere e gemere e cercare di tenerlo il più vicino possibile a sé, di farlo spingere di più, più forte, fino anche entrambi non diventano molli e tremuli e collassano l’uno sull’altro.
- Mi era mancato – gli dice alla fine, quando entrambi stanno per scivolare nel sonno. Kankuro registra distrattamente qualcosa agitarglisi di nuovo tra lo stomaco e la gola.
*
Le pareti della stanza sono di un colore tenue, un azzurro pastello che crea un contrasto piuttosto inusuale con la collezione di armi da taglio che fa bella mostra di sé sul muro. È una delle prime cose che Kankuro ha notato, una mattina che lei lo ha lasciato da solo nel letto per preparare a entrambi la colazione.
Rimanere a letto, anche molto dopo essersi svegliati, è inusuale. Nessuno dei due vi è abituato. Nella routine di un ninja, la mattina ha l’oro in bocca, e di norma entrambi si sveglierebbero all’alba per iniziare la propria giornata. Quando sono insieme, invece, e non ci sono missioni in vista o allenamenti speciali e specifici per entrambi, rimangono sotto le coperte ben più del necessario, godendo del reciproco calore, della pelle nuda e di un’intimità che di rado riescono a sperimentare totalmente.
Nel sonno, Ten Ten assume un’espressione serena e pigra, con le palpebre rilassate e la bocca piegata in una linea appena inarcata verso l’insù. Ha i capelli sciolti, una valanga di fili castani che ricoprono la superficie chiara del cuscino, e gli occhi si agitano sotto le palpebre.
A Kankuro piace guardarla quando dorme.
Di solito è lui quello che si sveglia per prima, un po’ perché di norma non dormono mai in una stanza – in un villaggio – a lui familiare, un po’ perché Ten Ten si agita nel sonno, un po’ perché, fin da bambino, è stato abituato a dormire poco e male. Gaara era un incubo che lo seguiva tanto di giorno quanto di notte, nei sogni – adesso è stato sostituito dal senso di colpa.
I capelli di Ten Ten sono promutati e la sua pelle morbida e tiepida a contatto sulla sua e Kankuro è ancora avvinghiato tra la veglia e il sonno, ma sente chiaramente le viscere contrarsi e qualcosa indurirsi. È sempre piuttosto sveglio la mattina.
Ten Ten mugugna nel sonno, contrae le labbra, ma non dà segni di volersi svegliare. Gli cinge il collo con un braccio e si rigira tra le braccia di Kankuro.
- Smettila di guardarmi – soffia, la voce ancora impastata dal sonno, roco e poco chiara.
Passano tutta la mattina nel letto, dormendo, baciandosi, toccandosi più del dovuto. Non fanno sesso, non ne hanno bisogno. Carezzarsi e stuzzicarsi è altrettanto piacevole.
Quando Kankuro si riveste e va via, è quasi pomeriggio inoltrato. Ten Ten ha i capelli umidi per la doccia e una maglietta troppo grande addosso. Nessuno dei due si aspetta di non rivedere più l’altro.
Come avere il sole sulla pelle
Feb. 17th, 2021 09:20 pm- Storia scritta per la seconda settimana del COWT11;
- M3 - Pioggia/Sereno
- Parole: 2161
- SnK - Levi/Petra
Come avere il sole sulla pelle
Petra ha i capelli del colore del miele e gli occhi dorati e lucidi, un visto tondo e grazioso e il corpo esile di chi sembra inadatta a generare figli e a sollevare qualcosa di più pesante di un fiore. Levi la squadra con biasimo la prima volta che si incontrano e la dimentica subito dopo - i volti, i nomi, i ricordi sono una cosa che non gli appartiene, fa fatica a tenere a mente dettagli piccoli e poco significativi; analizza quelli necessari, li fissa, e gli altri li lascia scivolare via. È incredibile che un uomo che non ricorda il nome della propria assistente - la stessa donna che si occupa delle sue incombenze, devo suoi programmi, dei suoi rapporti e del suo caffè da due anni a quella parte - riesca poi a essere dotato di un’attenzione e di una precisione millimetrica in battaglia.
Petra è graziosa, con i modi di fare un po’ timidi e impacciati di chi ha appena preso la divisa e vive nell’ansia di sbagliare. Levi la vede di nuovo, probabilmente per la quarta o la decima volta, la mattina in cui si presenta nel suo ufficio con Erwin e gli viene notificato che avrà una nuova assistente - quella vecchia era scomparsa.
- Il soldato semplice Rall è la tua nuova assistente - gli dice semplicemente, senza presentarli, senza aspettarsi una replica o una protesta, come se si conoscessero da anni. Erwin non è un tipo dedito alle cerimonie, alle formalità; Levi è pratico e di poche parole, non ci fa neanche caso. Rimane solo infastidito a fissare la porta per un secondo, le sopracciglia contratte, i capelli che gli sfiorano la pelle bianca della fronte.
Si dimentica quasi del sottoposto, finché alla donna non scappa un colpo di tosse
- Soldato semplice Petra Rall, Signore - gli dice tutto di un fiato, con le braccia stese dritte contro il dorso e la schiena china in un inchino. I capelli le oscillano attorno al viso e è davvero graziosa. Un qualsiasi altro uomo se ne sarebbe accorto.
Levi annuisce e poi torna alle sue carte
Petra ha un sorriso enorme, con un incisivo appena un po’ sbeccato. Levi pensa distrattamente che abbia un modo di sorridere davvero stupido.
*
Levi ha i capelli nerissimi e la faccia perennemente imbronciata, un po’ come quella di un gatto a cui si è pestata la coda. È alto - basso - quasi la metà dei suoi commilitoni e commina tra tutti come un gigante tra gli uomini.
Levi incute un terrore quasi viscerale in chi lo conosce e lo teme, tra chi è a conoscenza delle sue imprese, anche solo per sentito dire. Non è bello, né distinto come Erwin; non è affabile o genialmente pazzo come Hanji; è un uomo basso e dalla faccia losca, dotato di un’incredibile abilità nelle manovre tridimensionali. Levi si libra in aria come una libellula e altrettanto repentinamente si contorce a mezz’aria e fa mulinare le lame, in un attacco preciso e letale. I suo nemici - mostri enormi, spaventosi, tutti denti e di un’altezza di centinaia di piedi - si abbattono al suolo e i loro corpi sfrigolano, mentre scompaiono.
Levi sembra quasi non avere sentimenti, non provare né la gioia viscerale della vittoria, né la pena spasmodica di chi deve battere in ritirata, trascinandosi dietro arti scomposti, ultimo rimasuglio dei cadaveri dei propri compagni. Fa paura e alcuni si chiedono se essere un titano, il migliore soldato del genere umano, voglia anche dire abbandonare la propria umanità. Quando passa per i corridoi del quartier generale, i cadetti abbassano lo sguardo e smettono di sussurrare storie sul suo conto, improvvisamente vittime di una soggezione che gli si attacca alle membra e che non li abbandona rapidamente.
Petra ne è terrorizzata, come tutti gli altri, e si muove come una piccola ombra, cercando di essere il più silenziosa possibile. Levi non dà segni di vederla, né di essersi reso conto della presenza, continua a stare seduto alla propria scrivania e a bere il caffè che Petra gli porta, senza neanche dare l’impressione di aver capito che la tazza gli sia stata sostituita con una fumante.
Levi beve molto - moltissimo -caffè e con il tempo Petra impara a capire quando il caporale ne abbia bisogno: inizia a giocherellare con la penna e la sua espressione si fa più arcigna, la piega della bocca un po’ obliqua e gli occhi lucidi. La sera, soprattutto, quando entrambi si attardano più del dovuto in ufficio - lui perché il suo lavoro non ha mai fine, lei perché si sentirebbe un po’ in colpa a lasciarlo lì da solo e poi una casa in cui tornare neanche l’ha, l’alloggio che le è stato affidato dalla Legione è freddo e spoglio e non riesce a dormirci bene - Levi beve più caffè e Petra prende l’abitudine di fare qualche tazza in più per se stessa. Iniziano a berlo insieme e man mano il silenzio diventa meno strano, più piacevole, e l’uomo meno spaventoso.
Una sera, mentre fanno ritorno ai dormitori a un orario improbabile, camminando insieme, come ormai da abitudine - anche se Petra è costretta ad accelerare sempre un po’ il passo e Levi d attardarsi più del dovuto, per non lasciarla troppo indietro - Petra vede il caporale chinarsi e quasi non gli sbatte contro.
In una scatole di cartone, di quelle che si usano per conservare le scarpe, una pallina di pelo nero miagola e allunga le zampine. Un gatto piccolissimo, un microbo, che si protende verso di loro e piagnucola in una disperata ricerca di calore.
Con l’impassibilità che lo caratterizza, lo prende tra le mani e lo infila nella giacca della divisa.
- Dovrò compilare una marea di scartoffie - dice solo, alludendo ai vari permessi per gli animali domestici da alloggiare nelle stanze dell’esercito. Petra sorride, improvvisamente di buon umore.
Un po’ umano lo è anche lui.
*
La Legione esplorativa è fatta di uomini e donne duri, coriacei, orgogliosi. É l’avanguardia dell’umanità, il suo barlume di speranza e anche la migliore difesa possibile per le vite di tutti. Si addestrano più di tutti, faticano più di tutti, si spingono fino allo sfinimento e poi continuano, fino a non avere più un filo di forza in corpo e la caparbietà è l’unica cosa che li fa andare avanti.
Le giornate degli uomini della Legione sono un susseguirsi di addestramenti, esercizi, disciplina. Studiano instancabilmente i mostri che spaventano gli uomini comuni e li fanno nascondere sotto i letti. A ogni missione esplorativa, raccolgono informazioni nuove e vitali, classificano i nuovi esemplari di giganti, aggiungono dettagli, osservazioni, rimpinguano schede e relazioni avviate già da altri prima di loro.
Sono due anni che il soldato Petra Rall si è unito alla Legione Esplorativa, quasi altrettanti che è entrata al servizio del caporale Levi. Ha rapidamente abbandonato la disillusione e i sogni infantili per cui si era arruolata. È diventata più dura, più tenace, più testarda. Ha imparato a spingersi fino allo stremo e a rialzarsi per combattere ancora. Lei, con pochi altri, è riuscita a sopravvivere a molte più missioni di tanti altri soldati più prestanti e promettenti, sorprendendo se stessa.
La prima volta che è andata in missione e ha visto una di quelle creature mostruose calare su di lei, ha pensato di stare per morire e le gambe le si sono fatte molli. Ogni volta che esce in esplorazione, la sensazione si affievolisce, il terrore scema e pian piano di ritrova a librarsi in aria con più incoscienza, più rapidità, più insensibilità.
Ha imparato a imitare i movimenti dei suoi compagni, a capire cosa fare senza neanche parlare, in una frazione di secondo. È sopravvissuta oltre ogni previsione e ne è intimamente compiaciuta e al tempo stesso spaventata. Sa che prima o poi morirà, che verrà divorata, che non farà più ritorno a casa e che, nella migliore delle ipotesi, alla sua famiglia verrà restituito un fagotto di membra dilaniate. Lo sa e quindi diventa più testarda e più letale a ogni volta che sguaina le sue lame.
Levi la osserva, alle volte, e ogni volta la vede diversa. È normale che dopo una missione un soldato torni mutato, un po’ rotto, un po’ più spento, ma Petra è un perenne cambiare.
Quando sono nelle mura cittadine, al quartiere generale o per strada, di ritorno a casa, sembra la solita ragazzina che anni prima gli ha versato addosso il caffè e ha continuato a scusarsi per giorni. È allegra in maniera discreta, con un po’ di più di borse sotto agli occhi, e i capelli corti che le arrivano giusto alla altezza del mento.
Petra prende rapidamente anche un’altra abitudine che a Levi non piace per niente: quando sono ai cancelli delle mura gli dice addio con una serietà e un trasporto che appartengono solo a chi ormai se è arreso alla morte.
Levi prova sempre un grande sollievo quando, una volta rientrati, può salutarla ancora.
*
I capelli di Petra sono una nuvola del colore del grano maturo e gli occhi hanno il riverbero del miele; è piccola e minuta, un corpo sottile e affusolato in cui Levi si perde.
Le bacia la piega del collo, soffermandosi giusto nei pressi della clavicola, in una lenta tortura e Petra sospira piano, stringendo tra le dita le lenzuola e geme quando l’uomo scende tra la curva dei seni e le morde piano un capezzolo.
Il sesso è una novità che si sono concessi da poco, la tappa naturale di un rapporto che hanno creato negli anni, fatto di piccoli gesti, sguardi e di una complicità solida e rassicurante.
Levi è un uomo basso, arcigno e dai modi rudi, ma con il tempo Petra ha imparato a spogliarlo pian piano, a leggere nei suoi gesti, nelle espressioni, nelle frasi dure o poco amichevoli. Petra è cocciuta - lo è sempre stata - e alla fine Levi le si è dovuto arrendere.
L’ha baciata una sera, sotto la pioggia, entrambi completamente zuppi che facevano ritorno in caserma. Petra gli ha sorriso, mostrando un’espressione scioccata e l’incisivo sbeccato.
Si rotolano tra le lenzuola e Levi la stringe, la attira a sé e la imprigiona sotto il suo corpo. Le afferra una spalla e Petra si inarca e gli morde il lobo dell’orecchio destro, quando Levi affonda dentro di lei.
Fuori fa freddo, è cattivo tempo e il ticchettio della pioggia è un rumore ovattato che si perde tra i loro ansiti. Levi affonda il viso tra quei capelli dorati ed è come avere il sole sulla pelle.
*
Petra ha un tocco leggero, quasi impercettibile. Le sue mani corrono sul corpo di Levi con una delicatezza tenera e affettuosa, le dita gli sfiorano la pelle in una carezza lenta e l’uomo si tende appena, reagendo a quel contatto.
- Ti fa male? - gli chiede Petra, con una punta di apprensione che non si dirama ai suoi gesti.
Levi ci mette un tempo lunghissimo a registrare le parole della donna e con altrettanta lentezza nega muovendo la testa.
Qualche ciuffo nero gli finisce davanti agli occhi, ma nessuno dei due si premura di metterli a posto.
La missione di quel giorno è stata quasi un totale disastro, una di quelle da dimenticare: hanno abbattuto meno giganti degli uomini che hanno perso e non sono riusciti ad arrivare al punto prefissato. Hanno perso i cavalli, alcuni sono morti, altri sono rimasti feriti.
Levi è di un umore più uggioso del solito e Petra ha dovuto dirgli “salve” più volte, dopo che sono rientrati.
Gli fascia il braccio, gli medica un taglio sul sopracciglio destro e gli cura le vesciche sulle mani. Entrambi i genitori di Petra fanno parte della guardia medica e fin da bambina ha imparato a prendersi cura degli altri - pensavano tutti che sarebbe diventato un medico, un guaritore, che avrebbe tirato via la gente dalla morte, non che ci si sarebbe buttata a capofitto.
Le bende sono bianche, immacolate e a Pera gira un po’ la testa e le palpebre si fanno pesanti. Non parlano mai molto, dopo una missione, si lasciano solo annegare dalla stanchezza e dal senso di colpa di essere sopravvissuti.
Levi la tira giù, le schiaccia la nuca sul cuscino e si abbandona con una guancia sul suo petto, all’altezza del cuore.
Petra sospira e chiude gli occhi.
*
Il tempo è piacevole, il cielo sereno e il sole splende intenso e caldo. Levi osserva Gatto - la pallina di pelo che anni prima aveva raccolto e portato a casa - stiracchiarsi in una macchia di sole e contorcersi senza riuscire a trovare pace. Sono giorni che l’animale è stressato, intrattabile, dorme e mangia poco - un po’ come Levi.
Petra non c’è più, la sua stanza è stata svuotata e riassegnata e Levi ha iniziato a evitare di passare davanti alla sua porta e a ritirarsi sempre più tardi dal lavoro. Gatto ha preso a imitarlo e sparisce per giornate intere e ha smesso di fare le fusa - non che a lui le avesse mai fatte.
L’animale rotola sulla pancia e gonfia il pelo nerissimo. Levi un po’ vorrebbe dirgli che manca anche a lui, ma non lo fa e gli occhi gialli del gatto lo scrutano malinconici.
- Prompt: M2 – Sonno profondo
- Parole: 1786
- Storia scritta per il COWT11;
C’è un miscuglio di parole, di suoni, di frasi che si mischiano e voci che si accavallano le une alle altre in un vortice che gli fa quasi girare la testa; stilli, grida, lamenti che un tempo gli facevano accapponare la pelle, che dicono cose terribili, orribili, strazianti, che non gli danno tregua. Mai. In qualsiasi momento non c’è silenzio, non c’è solitudine. Anche nei momenti migliori, c’è un ronzio fastidioso, un ticchettio che gli scava una voragine dietro agli occhi, che lo irrita e lo snerva fino a sfociare negli atti di violenza più irrefrenabile e liberatoria.
Le voci alle volte sono indistinte, sconosciute, ma una, tra tutte, non può essere confusa. Suo padre è sempre lì, appena ha un attimo di pace illusoria. Non grida, non alza la voce, ma è il peggiore. Spesso fa semplicemente scoccare la lingua, in quel suono terribile, in una replica perfetta di quando era solo un bambino e si stava per avvicinare un castigo atroce.
Seungho non è mai solo, neanche in una stanza vuota, in una casa vuota, in una città vuota. Non c’è mai silenzio o pace, mai. Ha però imparato ha sopportare, a ignorare, a sfidare quelle voci che si avvicendano, che gli si stringono alla gola e lo trascinano in un baratro buio di follia e odio da cui strisci via sempre con maggiore difficoltà.
Con il tempo Seungho ha trovato una serie di espedienti che gli permettono di ignorare ogni suono, ogni ingiuria, ogni offesa. Il sesso è il modo migliore – o la violenza o entrambi. Si perde nei corpi di altri uomini traendone un piacere che va al di là di quello della carne. Per un attimo, uno solo, mentre tortura quei corpi, mentre ci spinge contro con tutta la violenza di cui è capace, mentre li possiede fino allo sfinimento e i loro gemiti esplodono senza alcun ritegno né paura di essere uditi dalle orecchie di servitori o estranei, Seungho trova la pace. Un attimo solo di pura estasi e silenzio.
Il sesso è tanto naturale, quanto animalesco. Circuire altri uomini, altri signori, non è solo il processo naturale che accompagna le sue pulsioni, ma anche un ulteriore modo di ribellarsi a quella figura paterna e terribile da cui non è mai stato amato, che non è mai stato felice di averlo come figlio e che non ha mai dimostrato orgoglio o affezione. Il sesso, la pederastia, è il modo in cui Seungho punisce suo padre, il modo in cui punisce se stesso, e non prova né vergona, né pentimento. Più le voci sul suo conto, sulla sua condotta, sulla sua scelleratezza, si fanno vive, note, si spargono tra i salottini delle signore o nei bordelli frequentati dagli strati peggiori della società, più Seungho trae piacere e soddisfazione dall’affondare in un corpo identico al suo.
Non a caso i suoi amanti appartengono alle famiglie più in vista, sono figli degli amici e di suo padre. Lo scandalo viene sopito, ma le voci non possono essere zittite. Né quelle sul suo conto, né quelle nella sua testa.
Seungho ne è follemente felice.
Il corpo di Na-kyum è sottile, fragile, quasi femminile. Seungho prova un piacere sfrenato e animalesco nel possederlo, nell’aprirgli le natiche e affondare dentro di lui. Ogni gemito, ogni grido, ogni lacrima inalberano il suo essere e aumentano a dismisura l’eccitazione. Ogni no, ogni supplica, gli arrivano direttamente ai lombi e ingigantiscono il bisogno di farlo suo e di nessun altro.
Na-kyum si contorce, afferra le lenzuola e ogni cosa che gli capita sottomano, mordendosi le labbra e lacerando la pelle. Geme e al tempo stesso si vergogna, immaginando di essere sentito.
È solo un corpo che si muove sotto di lui, che singhiozza, che lo prega e lo fa perdere dentro di lui e Seungho ne è assuefatto al punto da non desiderare riversarsi in nessun altro. Perde interesse per chiunque non sia lui, trovando improvvisamente un modo più accattivante di punire suo padre.
Un servo è ancora più vergognoso del rampollo di una nobile famiglia e Na-Kyum è l’ultimo degli ultimi.
Un giorno, semplicemente, Na-kyum smette di ribellarsi, di respingerlo, di piangere e dimenarsi per fuggire. Lo accoglie con uno sguardo che Seungho non sa se gli piaccia o meno e si abbandona al suo tocco, lo lascia possederlo, morderlo, squarciarlo senza lamentarsi, senza vergognarsi di gemere o di provare piacere.
Più uno si dimostra remissivo e accondiscendente, più l’altro diventa ansioso e attento. Senza che se ne renda conto, qualche voce sparisce e non vuole più fargli del male – non troppo.
Seungho non è un amante gentile, non lo è mai stato, non lo sarà mai, ma smette quasi del tutto di picchiarlo, di cercare di strangolarlo o di lasciargli sul corpo più segni del dovuto. Na-kyum si arrende e l’altro trema a quella inerzia impensabile fino a qualche mese prima. Un po’ ha anche paura per quella mancanza di risposta.
È solo un corpo, si dice con una fermezza tanto solida da sembrare irreale. È solo un corpo, ripetono in coro le voci nella sua testa. La notte, però. Na-kyum non è solo un corpo tra le sue mani e Seungho inizia a essere spaventato.
Le voci sono lì, nascoste dietro gli occhi, quasi del tutto silenziose, mentre giace nel suo letto, fissando il soffitto nella penombra. Fuori è buio da molte ore, tra non molto forse farà anche giorno. Seungho ha perso il senso del tempo, immerso nel tepore delle coperte.
La neve ha iniziato a cadere – l’indomani probabilmente il giardino sarà una distesa di macchie bianche e fango – e si respira già un’aria fredda, presagio di febbri e malanni.
Na-kyum dorme al suo fianco – Seungho non è certo che dorma davvero o faccia semplicemente finta, per compiacerlo. È un corpo caldo, con la testa poggiata sulla sua spalla e il respiro lieve che gli carezza il mento. Lo ha costretto a rimanere, lo ha trattenuto mentre cercava di rivestirsi, dopo il sesso, e lo ha tirato di nuovo su di lui.
- Resta – gli ha detto, in un ordine che sapeva molto più di preghiera. Il pittore non ha potuto dire di no.
È un tepore piacevole e insolito, intimo in un modo che va al di là del sesso, al di là del vedersi nudi e divorarsi a vicenda. Seungho non lo ha mai sperimentato, non ha mai dormito con un altro essere umano, neanche da bambino gli era mai stato concesso di dormire nello stesso lettino con uno dei suoi fratelli.
Na-kyum è piccolo e fragile, in quei mesi ha perso peso, e gli sta raggomitolato sul petto, immobile, quasi terrorizzato di svegliarlo o di ricordargli di essere lì. Seungho non è del tutto certo di riuscire a individuare i gesti involontari, dettati dalla paura, da quelli che stanno entrando pian piano nella loro routine.
Altre volte Na-kyum si è addormentato, dopo il sesso, stremato dall’amplesso e dal pianto; cento altre volte Seungho lo ha visto dormire, lo ha ripulito in un moto di imprevedibile bontà, ma mai hanno dormito insieme. Mai si è lasciato toccare per così tanto tempo senza farsi sfuggire segni di nervosismo o di fastidio. Na-kyum non può dirgli a voce di no, ma il suo corpo non si è ancora del tutto arreso, quindi Seungho li coglie, quegli spasmi, quei sussulti, che li allontanano impercettibilmente e al tempo stesso moltissimo.
Non ci sono movimenti o sussulti o lamenti e Seungho si compiace di averlo addomesticato al punto da farlo rimanere nel suo letto senza eccessivi problemi – come se fosse uno dei gatti randagi che portava in casa di nascosto, da bambino, e che suo padre, puntualmente, faceva ributtare in strada.
Gli carezza appena i capelli neri, glieli sposta dalla fronte; con l’altra mano gli sfiora la spalla e poi lo stringe. Piano, improvvisamente spaventato all’idea di svegliarlo. Vuole fargli cose, cose che non sono il sesso, che non sono dettate dal bisogno di dilaniarlo e possederlo, cose che gli sono sconosciute. Disegna una serie di cerchi piccolissimi sulla sua pelle e Na-kyum sospira. Un sospiro basso e piacevole, ben diverso da quelli che gli sfuggono durante il sesso.
Un sospiro rilassato, di chi si sente a proprio agio, non in pericolo.
Le voci nella sua testa sono solo un bisbiglio bassissimo, non c’è lo schiocco della lingua di suo padre, né nessuna parola o frase confusa e oscena. A Seungho piace quella sensazione di quasi pace e stringe un po’ di più il corpo del ragazzo e lo copre meglio con la coperta. Sono entrambi nudi e fa freddo. Il fuoco della stufa si è ormai spento, rimangono solo le braci, ma a nessun servo è permesso entrare nelle sue stanze quando sono insieme e lui non ha intenzione di alzarsi per ravvivarlo.
Il sonno è vicino, Seungho lo sente, mentre gli fa diventare le membra molli e le palpebre pesanti. Non vuole dormire, gli piace quella situazione di tepore e contatto e al tempo stesso sa che non gli si ripresenterà con altrettanta semplicità un’opportunità simile. Non chiederà di nuovo a Na-kyum di rimanere nella sua stanza e domani lo possiederà di nuovo con foga, solo per essere sicuro che non lo consideri debole o patetico, giusto per ricordare a lui e a se stesso di essere lui il padrone, di avere lui il totale e assoluto controllo sulla vita e sulla morte di Na-kyum, per ricordargli di essere solo un corpo e nient’altro.
Il ronzio nella sua testa si accentua un po’ e Seungho un po’ si agita; l’immobilità non gli è mai appartenuta, mai in un solo momento della sua vita è rimasto fermo a lungo, né per se stesso e tantomeno per qualcun altro. Na-kyum si sveglierà e lui sarà costretto a uscire da quel bozzolo di calore e tranquillità e dovrà divorarlo, possederlo e farlo singhiozzare e gemere. Deve essere punito, sì, perché è un corpo e nulla più e non deve pensare altrimenti, non può permettersi di fargli provare qualcosa – Seungho non deve provare niente.
Una mano poi gli si poggia sulla guancia, con delicatezza, in una carezza quasi affettuosa. Il silenzio resta, quello è immutato, e nessuno di loro parla, mentre la mano di Na-kyum gli disegna gli zigomi o la piega affilata degli occhi. Il movimento si arresta tra i suoi capelli, solo per qualche secondo, poi la carezza continua e Seungho sospira a propria volta e il naso di Na-kyum gli si preme contro la mascella. Profuma di buono, è tiepido e piacevole e rassicurante e placa ogni angoscia o malumore con una semplicità che a Seungho dovrebbe fare quasi paura. Na-kyum è inconsapevole di non essere solo un corpo e non osa chiedere altro.
È piacevole e nessuno lo ha mai toccato così, senza altro fine se non calmarlo.
Seungho scivola pian piano nel sonno e le voci nella sua testa tacciono di colpo.
Serena oscurità
Feb. 17th, 2021 11:04 pm1600 parole
Fandom: Color Rush
M3- Sereno/Oscurità.
La vita, il mondo, è sempre stata una sfumatura di grigio, tenue, scuro, quasi mero, ma sempre grigio. Non ha mai saputo cosa fossero i colori, né è riuscito mai a immaginare un mondo fatto in un modo diverso.
Il grigio è la costante della sua esistenza e l’idea di vedere i colori lo spaventa, lo terrorizza e talvolta Choi Yeon Woo si sente mancare il fiato, all’idea di diventare come quella gente, la cui foto passa la sera alla tv. Mostri, depravati, torturatori e assassini. Non vuole, non può, sua madre non lo perdonerebbe mai, sua zia non lo perdonerebbe mai, lui stesso non si perdonerebbe mai.
Trascorre una vita grigia e solitaria e arriva a diciassette anni con la pacata rassegnazione di chi vede il mondo in un unico colore, privo di una vera felicità.
Yeon è un Mono, i suoi occhi vedono i colori, ma il suo cervello non è in grado di declinarli in altre forme se non quelle del grigio. È solitario e schivo e non ha mai avuto un rapporto vero al di fuori della sua famiglia, di sua madre e poi di sua zia. Ricorda a malapena il volto di suo padre e il cerchietto di sua madre lo ossessiona quasi come se fosse magico o misterioso. Solo un altro oggetto di un indistinto grigio perlato e di un vero colore che non conoscerà mai.
Non sa cosa siano i colori, cosa sia il giallo, cosa sia il blu, cosa sia il rosso. Sono solo nomi, suoni a cui non sa dare un vero significato, una vera immagine. Non può neanche immaginarli e finge di non desiderare vederli mai nella sua vita.
Yeon ha diciassette anni, non ha amici e non ha mai provato più che un sentimento di sufficienza verso gli estranei. I compagni di classe sono volti grigi e sfocati che scompaiono di pari passo con il suo dover cambiare scuola. Essere un Mono è un problema, una piaga sociale da debellare. Lui è un mostro, un pericolo, uno di quegli squilibrati che si vedono in tv e da cui i bambini e gli adulti devono stare alla larga.
Yeon è un Mono e non ha mai fatto del male a nessuno, ma gli altri non lo sanno e provano verso di lui, una volta scoperta la sua condizione, paura e disgusto e diventa a più riprese vittima di bullismo e scherno, fino a che la rissa non scoppia – inevitabile – e lui viene punito e costretto a cambiare scuola e gli altri ricevono una pacca sulla spalla.
Yeon è schivo e ha creato attorno a sé una barriera tanto alta che nessuno può superarla, nessuno può ferirlo, nessuno può farla vacillare.
Un giorno cambia scuola e incontra Go Yon Han e la barriera si crepa.
*
Go Yon è bello e alto, con i capelli neri e due orecchini al lobo dell’orecchio sinistro; è invadente e
È quella unica creatura, in tutto il pianeta, che può fargli vedere i colori, che può fargli scoprire le sfumature vere in cui si declina il mondo e Yeon un po’ lo odia e un po’ ne ha paura.
Go è invadente e appiccicoso, una costante inopportuna che turba la pacatezza della vita di Yeon e che lo getta in un turbinio di sensazioni, di emozioni, di colori che fino a quel momento non ha neanche potuto immaginare.
La vita di Yeon è serena e tranquilla e priva di turbamenti prima di incontrarlo, fatta di giorni grigi e pigri in attesa che il tempo passi. Go Yon invece è turbinoso, è allegro e stupido; più Yeon cerca di allontanarlo, più Go lo cerca; più uno diventa freddo, più l’altro affettuoso.
La cosa peggiore sono i colori, sono vividi, accesi, terribili. Yeon ne è accecato, ammaliato e poi incredibilmente attratto. Diventa assuefatto dal giallo dei fiori, dal blu neon delle insegne dei bar, dal verde delle fronde degli alberi e più impara a riconoscerli e a dargli un nome, più sente il bisogno di avere sempre Go al suo fianco, di legarlo a sé, di imprigionarlo e impedirgli di fuggire.
Go Yon sembra essere del tutto all’oscuro dei suoi pensieri e quando Yeon glieli confessa, non dà segni di esserne turbato.
- Voglio imprigionarti – gli sussurra, sull’orlo delle lacrime e Go gli si fa solo più vicino, lo stringe e lo rassicura, perché lui non vorrebbe essere in nessun altro luogo.
*
I Probe sono legati ai Mono; esiste un solo Mono per un solo Probe e un solo Probe per un unico Mono. Sono destinati a stare insieme, quasi condannati a non avere una scelta. È così difficile che si incontrino, che alcuni di loro passano la loro intera esistenza senza mai creare quel legame speciale e Yeon si crogiolava nell’idea rassicurante che la Korea del Sud – che il mondo – fosse troppo grande per trovare il proprio Probe, che non si sarebbe mai trasformato in un mostro, che non si sarebbe mai assuefatto ai colori e alla felicità al punto di fare del male a un altro essere umano.
Go poi si è abbassato la mascherina nera, i loro occhi si sono incontrati, e Yeon ha perso anche quella ultima certezza.
La pelle di Go Yon è calda, ferma, rassicurante, mentre stanno a letto, carne nuda su altra carne nuda, osservando il soffitto azzurro di una stanza squallida di un motel a ore. Giocherellano con le dita, si toccano e si sfuggono e ogni tanto Go si porta il dorso della mano dell’altro alle labbra e lo bacia con affetto e sincerità.
La nudità non è un problema, non lo è mai stato, il corpo dell’altro è tanto familiare da poter essere il proprio e il tepore altrui è rassicurante e caldo e intimo che entrambi stanno bene anche son un lenzuolo leggero addosso e fuori la bufera.
Darsi appuntamento in quel posto è un’abitudine ormai consolidata, lo fanno un paio di volte a settimana, dopo la scuola, inventando una scusa qualsiasi con i loro amici e le loro famiglie per rimanere da soli. Non lo fanno per il sesso, non solo per quello, entrambi avvertono il desiderio pressante ed estenuante di rimanere da soli, di essere pelle su pelle, carne su carne, bocca su bocca senza essere interrotti, senza essere infastiditi da altre persone che non siano loro.
Sono amici e amanti e Yeon ha imparato a riconoscere tutti i colori dell’arcobaleno, anche se Go non sa ancora ricordare un volto che non sia quello dell’altro – non vuole imparare a riconoscere un volto che non sia quello di Yeon, ma non può dirlo.
Trascorrono ore intere a letto, giocherellando con i loro corpi, baciandosi e facendo zapping in tv per trovare i programmi più colorati ed esuberanti. Yeon si sente sereno e appagato, con Go nelle sue mani e la porta chiusa a chiave; Go gli ripete che non c’è altro posto in cui desideri essere, se non in quel letto, in quella stanza con lui.
E i colori, oh, i colori diventano più vividi e vorticosi ogni volta che si vedono e Yeon è così euforico che alle volte teme di star per perdere la ragione e che l’oscurità possa divorare all’improvviso lui, Go e la loro serenità.
Quando poi Go si addormenta – si appisola spesso, con la testa sul petto di Yeon e il respiro pesante e tranquillo di chi si sente al sicuro – i pensieri nella testa dell’altro tornano a essere molesti e cattivi, presagio di una azione terribile e fuori dal suo controllo. Le mani di Yeon fremono, tremano e inizia a contare i minuti che mancano allo scadere del fitto della stanza, al momento di andare via e separarsi e non vedere più i colori – non vedere più Go.
Inizia a vedere nella sua mente, a immaginare tutti gli scenari peggiori e più apocalittici, tutti gli addii e le sparizioni e le mancanze e non riesce a sopportare l’idea di tornare in un mondo completamente grigio. Go potrebbe lasciarlo, potrebbe abbandonarlo, potrebbe essere ingaggiato per un ruolo oltreoceano e non farsi più vivo o semplicemente essere investito mentre fa ritorno a casa. È terribile e orribile e Yeon sa che non potrebbe accettarlo, non potrebbe stare senza di lui e non solo per i colori. Non rinuncerebbe mai, mai, alla sfumatura blu dei suoi pantaloni o all’arancione di cui si colora il cielo al tramonto, ma non può neanche privarsi di Go. Non può lasciarlo andare e non solo perché sia il suo Probe e non possa fisicamente mai trovarne un altro.
Go è suo a livello viscerale, gli appartiene e nutre per lui un affetto e un desiderio che vanno oltre ai colori, oltre al sesso, oltre i loro stessi corpi.
E allora i pensieri e le paure si condensano, diventano un nodo alla gola che gli rende il respiro difficile e che lo fanno sudare e agitare. I pensieri cattivi si annidano dietro gli occhi e rendono di nuovo tutto brutto e grigio e spaventoso e gli tornano alla mente tutti i modi in cui potrebbe legarlo a sé, in cui potrebbe ferirlo per impedirgli di scappare, i luoghi in cui potrebbe rinchiuderlo per fare in modo che nessuno lo trovi mai più, che nessuno glielo porti via.
Yeon trema e si odia e sa che se lo merita, quel grigio e quello spazio vuoto e privo di colore e di felicità.
- Non vado da nessuna parte – borbotta Go e lo stringe e affonda il naso nell’incavo del collo di Yeon e lo bacia, piano e con affetto, come se non gli stesse dicendo una bugia e il solo pensiero di stare senza di lui, di essere separati, lo faccia soffrire.