Mar. 7th, 2020

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  • Storia scritta per il COWT10;
  • 240 parole;
  • Prompt: Napoli 
  • M2



 Mi piace uscire da scuola e fare una passeggiata prima di tornare a casa, giusto per ammazzare il tempo - dimentico sempre le chiavi e quindi tocca aspettare che mia madre rincasi. Sì, nessun portachiavi che tenga, non importa quanto sia grande, quanto sia colorato, quanto sia vistoso, se c’è anche una sola possibilità che io dimentichi le chiavi a casa, questa avverrà.

Come l’ombrello, del resto. È un’abitudine tanto radicata, quella di uscire senza, che ormai non sono più in grado di dire se mi piaccia camminare sotto la pioggia o se sia solo la scusa che mi racconto per giustificarmi - sono però consapevole che tra qualche anno la mia cervicale mi farà pagare di tutte queste giornate trascorse con i vestiti bagnati e i capelli umidi.

Tappa fissa del mio vagare è Piazza Dante, col bar Tre Nani sulla destra (punto di ritrovo per i ragazzini che vogliono saltare la scuola) o il Bar Fico, per quelli che hanno appena finito le medie e non sanno che è tradizione sacra e inviolata che si vada a un bar e uno soltanto - il Tre Nani.

Di tante bancarelle, la prima sulla sinistra è la mia preferita, un guazzabuglio di libri tra i più vari. Un giorno ho preso l’opera completa di Saffo, quello dopo il libro sulla Spada nella Roccia, quello dopo ancora Jurassic Park - e per poco non ho avuto un mancamento per la gioia. 

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  • Storia scritta per il COWT10;
  • 260 parole;
  • Prompt: Napoli 
  • M2





Quando ero ragazzina era assai raro che mio padre mi venisse a prendere a scuola, un po’ perché era sempre impegnato con il lavoro, un po’ perché il mio liceo era lontano dalle zone che frequentava, un po’ perché non ero più in quell’età in cui mi piaceva accompagnarmi con uno dei miei genitori.
 

Neanche ricordo quante volte sia venuto a scuola, una decina, quindici al massimo, e sempre per parlare con qualche professore del mio rendimento non proprio esaltante o del mutismo in cui mi ero chiusa durante l’ultimo anno. In genere veniva, parlava con chi doveva e poi andava via. Non mi faceva mai uscire prima, non tornavamo mai a casa insieme. Non piaceva a nessuno dei due che lasciassi la scuola prima dell’orario di uscita. 

Una volta però mi è rimasta impressa, anche se non so perché. Non ricordo quanti anni avessi, probabilmente andavo ancora al ginnasio, non più di sedici. Non ricordo neanche perché fossimo lì -  un colloquio genitori - insegnanti? O lo avevo accompagnato a fare una commissione e ci eravamo ritrovati in zona per caso? - ma ricordo bene la libreria in cui entrammo, le bancarelle con i libri, la moltitudine di volumi di storia un po’ datati e noiosi che nessun altro spulciava. Ricordo anche il momento in cui arrivammo alla cassa e io chiedi di poter prendere un altro libro ancora, uno di versioni in greco. Che poi io il greco neanche lo sapevo, però boh, mi piaceva. Lo conservo ancora, nella libreria e vederlo mi fa sorridere come una scema.

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  • Storia scritta per il COWT10;
  • 220 parole;
  • Prompt: Napoli 
  • M2





Per anni era stata la strada dell’innocenza, delle scorribande dopo la scuola, delle passeggiate con l’ amica del cuore il sabato pomeriggio. Port’Alba aveva avuto, per tutta l’infanzia e i primi anni delle sua adolescenza, quel sentore del posto sicuro, del posto protetto, quello che si ha quando non si è a casa propria, ma in quella di qualcuno a cui si vuole bene e quindi è un po’ la stessa cosa.
 

Port’Alba è la stradina vicino casa, quella che porta alla piazza dove giocavano a pallone da bambini o la strada che faceva con la mamma per andare a scuola. Port’Alba era la strada dei libri e a ogni inizio anno, si sentiva un po’ come Harry Potter nel primo libro che con Hagrid se ne va in giro per negozi strani alla ricerca dell’occorrente scolastico. 

Una volta ha girato tutte le librerie della stradina alla ricerca di un libro dal nome strano che per lei suonava un po’ tipo “Di figlio in anguilla”, e che nessuno aveva. Poi ha scoperto che il titolo non era decisamente quello, ma era comunque in francese e non avrebbe saputo pronunciarlo.

Finita la scuola, iniziata l’università, Port’Alba non è stata più la strada tranquilla dello svago pomeridiano, ma è diventata quella di passaggio per il quartiere dei bar un po’ più avanti. 

Eroe

Mar. 7th, 2020 04:43 am
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  • Storia scritta per il cowt10;
  • 602 parole;
  • BNHA;
  • M1




Izuku era un bambino adorabile, con le guance paffute e i capelli ricci e perennemente scompigliati. Tutto fossette e lentiggini. Quando era nato Inko lo sapeva che era speciale. Insomma, per tutte le madri i loro bambini erano speciali, ma Izuku aveva quel qualcosa in più che sua madre non avrebbe saputo spiegare. Forse il modo in cui la guardava o quello in cui agitava le manine paffute e piene o l’espressione meravigliata che faceva per ogni cosa.

Izuku era il suo bambino, il suo tesoro, e Inko lo guardava crescere e correre e fare disordine per casa con lo sguardo accondiscendente e un po’ apprensivo di tutte le mamme. Quando il padre di Izuku era andato via, Inko aveva scoperto del figlio - un bambino di appena tre anni - una forza incrollabile. Anche nei momenti più bui, quando il baratro era lì ad attenderla e a chiamarla, Izuku le tendeva una mano e la trascinava via. 

Izuku era il suo piccolo eroe, con la stanzetta disseminata di gadget e poster di All Might e gli occhi verdi ed enormi di chi trova il bello in ogni cosa. 

Scoprire che non avesse un quirk era stata la sorpresa più grande. Né lei, né il padre di Izuku ne possedevano uno di particolare pregio o di unica bellezza, ma nella sua famiglia non ricordava un solo componente che ne fosse sprovvisto. Il dottore è quasi in imbarazzo quando comunica loro la notizia.

In cuor proprio Inko era felice che quel bambino perdetto, tutto lentiggini e capelli disordinati, non fosse destinato a essere un eroe. Mentre suo figlio piangeva e si disperava, realizzando di non poter mai essere come All Might, di non poter diventare un eroe, di non poter salvare altri se non sua madre, lei internamente gioiva. Era una madre orribile, le sussurrava una vocina nella sua testa, una madre che prova piacere e gioia nel sapere che il figlio non vedrà mai realizzato il proprio sogno.

In tv intanto mandavano l’ennesimo combattimento, l’ennesimo scontro, l’ennesimo intervento di un eroe e lei si sentiva con il cuore più leggero sapendo che suo figlio non sarebbe mai stato vittima del fervore e del pericolo a cui gli eroi andavano incontro. Gli eroi erano perennemente in pericolo, perennemente sul ciglio di un baratro, perennemente sposti a ferite e dolore. Izuku non sarebbe mai stato costretto a scegliere tra la propria vita e quella di un altro essere umano - Inko gioiva, perché anche se Izuku era ancora un bambino dalle ginocchia sbucciate e le guance paffute, lei sapeva che non avrebbe esitato a mettere la vita di un altro davanti alla propria. 

Ha dodici anni Izuku e l’idea di diventare un eroe è ormai un ricordo. Inko lo vede andare a scuola, uscire con gli amici, avere la vita normale e priva di pericoli che lei a sempre desiderato. Lo aiuta a scegliere il liceo e ogni tanto gli allaccia ancora le scarpe - Izuku non le dice mai di no, anche quando cerca di trattarlo ancora come il bambino che non è più. 

 

È con orrore, che all’alba dei suoi quattordici anni, che Inko lo vede in tv, sfoggiare un quirk che non credeva esistesse. Lo vede rischiare la priora vita, ferito e sanguinante, ma con il sorriso eroico e ben conosciuto che le fa stringere la bocca dello stomaco. 

È una sorpresa, uno di quei colpi di scena che non ti aspetti e mentre lui le parla eccitato della scuola, degli allenamenti, delle missioni, degli scontri e le chiede di cucirle la tuta da eroe, a lei si spezza il cuore. 

Missione

Mar. 7th, 2020 11:26 pm
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- M2 - Napoli
- 255 parole;
 

Fare parte di una Gilda vuol dover avere a che fare con davvero tanta gente, viaggiare, conoscere cose ed essere flessibili. Gli incarichi che si ottengono non sono sempre i più facili o i più adatti da conciliare con la propria indole, motivo per cui i team è sempre bene che siano formati da persona varie, che per conoscenze e abilità si vadano a completare.
 

Bakugou questo lo sa, è nella Gilda da quando era un marmocchio, così come sua madre e molti altri membri della famiglia. Sa anche che non bisogna andare in missione da soli con un novellino e che, nell’eventualità che si abbia un novellino nel team, questo non dovrebbe essere l’unico altro membro oltre a sé.

Sa un sacco di cose Bakugou, ma quando Kirishima gli ha chiesto di poter partire con lui, non gli è sembrata una cattiva idea - insomma, è un fottuto drago, dovrebbe sapere tutto del mondo, dovrebbe potergli parare il culo, dovrebbe saper leggere, considerando che ha almeno cento anni umani. 

- Fanculo - gli dice, per la centesima o millesima volta in quella giornata.

- Mi dispiace - risponde l’altro, con un sorriso tutto denti e stupidità.

La libreria è un disastro, i libri sono tutti assiepati per terra, sui tavoli, negli angoli più impensabili.

Kirishima aveva accettato - per entrambi - di rimettere a posto quel posto orrendo, perché una vecchietta gentile gli aveva detto che fosse un’increbile avventura - dopo avergli lasciato un volantino senza immagini e di cui non aveva capito nulla. 

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- m2- Napoli
- 315 parole 


 Kirishima è rumoroso e fastidioso, sempre perennemente attivo e pieno di energie - inumano - lo tormenta di domanda idiote, non capendo i comportamenti delle persone o i modi di dire. “Che significa” e “perche” preferite e ogni volta che gli escono di bocca, Bakugou inizia a sentire le avvisaglie del fastidio e del mal di testa premergli sulle tempie. 

Quando lo ha salvato, mesi prima, si aspettava di ricevere un premio, non una punizione. Fottute leggende. Kirishima è un drago e come drago avrebbe dovuto esaudire un suo desiderio o come minimo diventare il suo mostro alato sputa fuoco con cui avrebbe dovuto distruggere i nemici. Inutile dire che le sua aspettative sono rimaste disattese.

- Chi salva un drago trova un tesoro - gli aveva rinfacciato una volta Bakugou e Kirishima aveva inarcato un sopracciglio e lo aveva guardato come se fosse pazzo.

- Voi esseri umani non capite mai niente. Cosa dovrebbe farsene un drago di un tesoro? - gli aveva chiesto con aria accondiscendente, come se stesse parlando con un bambino - Non tesoro, ma amico. Siete pessimi a tradurre la nostra lingua - aveva continuato poi. Bakugou gli aveva messo una mano sulla faccia e lo aveva fatto esplodere.

 

Kirishima parla e chiede e cerca di capire. I suoi occhi sono perennemente in fermento, cercando di cogliere e di imitare i movimenti degli umani che gli sono intorno. Bakugou è passato dalla pace e la quiete, in cui la gente non gli rivolgeva quasi la parola, a Kirishima che non sa stare un attimo zitto. 

Ha scoperto poi, però, che al drago piacciono le storie e gli piace sentirgliele leggere - lui che leggere la loro lingua non sa e si rifiuta di imparare. Bakugou diventa così assiduo frequentatore del mercato del libro, in paese - un po’ anche gli piace, il modo in cui Kirishima lo guarda, quando legge. 

irgio: (Default)
- M2 -Napoli;
- 244 parole  
- BNHA - Ochako - AU



Napoli è la mia città. È rumorosa, chiassosa e spesso sporca. Non mi piace molto viverci, non la difendo quando la gente ne parla male, né sento il bisogno di elogiarne le qualità - insomma, non p mica da buttare, è una grande metropoli con i suoi pregi e i suoi difetti.
 

Ci sono cresciuta, ci ho fatto la scuola, ci sono nata. Ogni tanto ci torno, per andare a trovare i miei genitori o qualche amico. Non mi piace, Napoli, ma mi sento a casa, con le sue viuzze conosciute, con le facce che si assomigliano un po’ tutte, con quel dialetto a tratti volgare che detesto, ma che dopo un po’ che non lo sento mi manca.,

Mi piace passeggiarci, per napoli, e ogni tanto vedo cose nuove che prima non avevo notato, anche se ci sono nata. Alle volte dimentico anche di essermene andata, altre non vedo l’ora di tornare nella città dove vivo ora e avere una metro decente. 

Quando ci torno, dopo i miei genitori, tappa fissa è il centro storico, per le bevute in compagnia di amici e sconosciuti - con l’alcol e il clima di festa che c’è il venerdì sera a piazza bellini dopo la terza canna, si attacca bottone con tutti. Mi piace poterci camminare senza avere paura che mi mazzeino, riconoscere facce amiche e passare per Port’alba, giù verso piazza dante, come se stessi di nuovo a scuola e avessi di nuovo sedici anni. 

irgio: (Default)
 La ragazza della libreria è carina, con i capelli castano chiaro e il naso sottile e all’insù. Ha il fisico slanciato di chi non sta spesso seduto a leggere e il trucco marcato e un po’ provocante che non dovrebbe essere utilizzato per il giorno. Mette sempre la gonna o un toppino striminzito, con le tette di fuori e il culo in mostra. Alle signore che frequentavano prima quel posto, non piaceva; molte non sono più tornate, altre ci vanno quando sanno che non lavora. 

E’ bella, col pircing sulla lingua e il modo seducente in cui si sporge sul bancone per indicare il nuovo libro da acquistare assolutamente.

Marco ci va aspesso in quella libreria, ci torna giorno dopo giorno e compra sempre qualcosa che non gli interessa. Accumula i libri sulla sua scrivania senza neanche leggerli. La commessa lo accoglie sempre sorniona, con lo scollo in evidenza e le cosce lunghe. Marco ha sempre una mezza erezione quando la vede e ci continua a tornare nella speranza che uno di questi giorni lei gli dica di vedere un libro nuovo, uno di quelli appena arrivarti e che non si può far perdere, e che se lo porti sul retro per scoparlo. Marco non ci dorme la notte pensandoci. 

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